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Trento, 8 gennaio 2012 Per tutte le rime dell’universo mondo: che lavoro dev’essere stato, quale fatica e che intima, appagante, inarrivabile sensazione dev’essere quella di portare a termine cotale opera. E chissà se il Nobel andato qualche mese fa a un poeta, lo svedese Tomas Tranströmer, porterà qualche lettore in più a un genere letterario che pure appare quantomai necessario, forte com’è - in un tempo nevrotico, dove la chiacchiera dilaga e la volgarità è legge - di una sua forza interiore, di silenzi incantati, di parole centellinate, di scavi, sedimentazioni, piccoli passi, trasalimenti, invettive sussurate. Sia come sia, giù il cappello, signori. Si deve all’imponente lavoro di Sandro Boato (a lungo consigliere regionale, in Trentino Alto Adige, per i movimenti ecologisti e pacifisti) la cura del più importante lavoro poetico apparso in Italia durante l’anno appena finito. Le più grandi poesie del Novecento in Occidente rivivono infatti nelle sue traduzioni dei testi di 65 poeti di Europa occidentale, Stati Uniti e America Latina. Le 600 pagine in due volumi della rivista letteraria “In forma di parole” - un’autentica istituzione, con oltre trent’anni di vita e con Gianni Scalia impareggiabile conduttore - assurgono dunque al rango di eccellenza. Dirà qualcuno: i due volumi costano 60 euro. Occhio, però: se solo si decidesse di leggere una poesia al giorno, di buon mattino, dopo due mesi sarà come aver gustato un impareggiabile caffè, tutto aroma e i conti son presto fatti: i due volumi li valgono tutti i 60 euro spesi, garantito. Forse che non lo spendete un euro per un caffè, al mattino? Lo si è già scritto, lo si ripeta: questi due volumi che non fanno concessione alcuna al marketing editoriale, alle copertine colorate, ai titoli roboanti, sono omaggio alle parole senza tempo, regalo raffinato per chi rifugge i best seller. Spiega Sandro Boato, nel testo che fa introduzione: “Da sempre hanno convissuto in me la passione per il verso e quella per la parola, per la lingua, per le lingue e per la mia lingua madre, il veneziano. Riaprendo dopo decenni l’antologia liceale di letteratura inglese, ne è uscita la versione veneziana di The Raven (Il Corvo), di Edgar Allan Poe. E ancora in veneziano avevo espresso l’amore per García Lorca e Rosalía de Castro, traducendone alcune composizioni in galiziano. Molto più tardi prese consistenza un quaderno di traduzioni, senza un indirizzo preciso, che non fosse il puro diletto conoscitivo e co-creativo, come reazione a stimoli spesso casuali di versi da imparare a memoria, anche perché talvolta mal tradotti. Solo nel subconscio si delineava - quale fantasma informe e mito inaccessibile - l’immagine del grande creatore-trascrittore del meglio seminato dai suoi predecessori. Qualche anno fa i versi di Achmàtova e di Mandel’stam, di Milosz e di Heaney mi spinsero a occuparmi più specificatamente del ’900 meno conosciuto in Italia; pensando forse confusamente ad una antologia europea, che non avrei comunque potuto realizzare da solo, le lingue che mi permettono un approccio sufficientemente diretto essendo le neolatine e l’inglese. Finalmente si delineò l’ipotesi più realistica, pur essa tuttavia da metter paura, sotto specie di canone del ’900 euro-occidentale e americano (del nord e del sud), fondato su una selezione soggettiva, senza presunzione storico-critica e limitata ai testi più raggiungibili di una letteratura poetica che non si trova generalmente nelle librerie della provincia italiana. Nonostante la caratteristica di fondo di un ampio quaderno di traduzioni, la finalizzazione ad un pubblico non specialistico, l’obiettivo di un panorama indicativo della poesia da fine ’800 a fine ’900, dell’orrore e della bellezza di questo secolo, rimane un senso di insufficienza nella documentazione, il timore di sproporzioni eccessive fra regioni linguistiche ed autori, l’eco anticipata di qualche “inammissibile”, ma inevitabile esclusione. Questo testo non sarà che una pietra che altri smusseranno o rimodelleranno, o cui ne affiancheranno o sovrapporranno di nuove. Sarà forse riconosciuto un atto di fede - oltreché nella poesia - nella lingua italiana, nella sua bellezza e malleabilità e duttilità, maggiore che non si creda, a confronto anche con l’inglese e, su altro versante, con i dialetti regionali che, se non considerati in antitesi ideologica, possono costituirne al contrario un arricchimento, non solo glottologico”. L’ipotesi da far paura si è concretizzata e l’atto di fede va riconosciuto, eccome. Perché è davvero un atto di fede nella lingua italiana il defatigante - durato anni ed anni - lavoro di traduzione di Sandro Boato. Ma il risultato è sorprendente: dal francese, dallo spagnolo, dal portoghese / brasiliano e dall’inglese / americano - ci restituisce versi di lancinante bellezza. C’è il cuore della poesia in queste 600 pagine. Alcuni nomi: Machado, Valery, Mallarmè, Borges, Pessoa, Yeats, Pound, Frost, Dickinson, Apollinaire. A fronte ci sono i testi originali, in coda le notizie bio-bibliografiche con i profili di ciascuno dei 65 poeti. L’invito all’acquisto e alla lettura è caldo, amichevole. Abbiamo bisogno, tutti, di poesia. C’è bisogno che sia letta, prima ancora che scritta, a diradare il velleitarismo e l’incongruenza di una terra dove sono molti di più coloro che scrivono poesie di quelli che le leggono. Sandro Boato - che pure è poeta raffinato, voce alta -, non solo ha letto e riletto migliaia di versi. Li ha poi tradotti, in una avventura che ci appare tanto letteraria quanto esistenziale, per restituirceli in un italiano che è musica allo stato puro. Chiudiamo nell’unico modo possibile. Aprendo a caso uno dei 2 volumi: c’è Byves Bonnefoy. Ci sono “Le mele”. Leggiamo. “E che pensare / Di quelle mele gialle? / Ieri stupivano, nude in attesa / Già cadute le foglie. / Oggi esse incantano / Tanto le spalle / Son modestamente segnate / Da un orlo di neve.”
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